Il trauma psichico lo si intende riferito a tutte quelle situazioni che minacciano in maniera costante il senso di continuità del Sé e della realtà percepita e anche il senso di integrità fisica, per questo riteniamo necessaria la differenziazione tra le situazioni in cui la minaccia è dovuta a eventi ambientali, terremoti, catastrofi naturali a quelle in cui è dovuta da mano umano. È infatti quest’ultima, ovvero quando la sofferenza è inflitta da un’altra persona soprattutto negli anni della crescita e/o da una figura di accudimento, in particolare la madre, la condizione per cui si ha una compromissione nel tempo delle funzioni psichiche caratterizzate da dissociazione e meccanismi di identificazione con l’aggressore, in questi casi si parla di trauma psichico relazionale.
Come proposto da Clara Mucci* possiamo individuare tre livelli del trauma psichico relazionale:
- Trauma relazionale infantile: definito da Allan Schore “Early Relational Trauma” come prodotto della dissintonia madre-bambino e della conseguente mancata regolazione affettiva, in quanto gli stati interni del bambino non sono contenuti e regolati. A livello neurobiologico questa mancata sintonizzazione porta hyperarousal e innalzamento dei livelli di cortisolo con conseguente possibilità di attacco al sistema immunitario, nonché dissociazione. La dissintonia tra madre e bambino può avvenire anche per difficoltà che la madre attraversa prima o durante la maternità, come lutti e depressione. Questo ambito è quello in cui una rete di competenze condivise tra professionisti come pediatri, neonatologi e psicologi può sensibilmente incidere sulla possibilità di prevenire o individuare precocemente difficoltà relazionali tra madre e bambino.
- Trauma da maltrattamento, abuso e grave trascuratezza: il II° livello riguarda il trauma da deprivazione grave, maltrattamento e abuso, con frammentazione della coscienza del bambino e interiorizzazione della diade come vittima-carnefice che caratterizzerà anche le future forme relazionali. Il bambino vivrà così diviso tra il sentimento di colpa, vergogna e bassa autostima nella sua parte identificata come vittima, e rabbia e aggressività nella sua parte identificata come aggressore. Questi due primi livelli possono cumularsi tra loro. Ad esempio una madre maltrattante ad esempio è stata anche non-sintonica nelle prime interazioni col bambino, portando a grave disorganizzazione comportamentale o di personalità.
- Trauma sociale massivo: il III° livello è quello del trauma sociale massivo dovuto ad esempio a guerre, genocidi e persecuzioni (pensiamo alla Shoah) di cui possiamo osservare una trasmissione transgenerazionale alle generazioni successive attraverso i legami di attaccamento. L’attualità di questo terzo livello è oggi presente nelle storie di immigrazione. Nelle scuole e negli ospedali possiamo venire a contatto con vicende di bambini e famiglie che portano con sé il dramma di un trauma sociale. Ancora una volta il riconoscimento e il buon intervento da parte di chi opera in queste strutture può essere un prezioso elemento di accoglienza.
Clara Mucci è Professore Ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università di Chieti e autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e libri sul trauma. In particolare, segnaliamo l’ultima uscita “Corpi Borderline, regolazione affettiva e clinica dei disturbi di personalità” Raffaello Cortina Editore.